Omesso versamento IVA, assoluzione formula piena

Assoluzione dal reato ex art. 10 ter – D. Lgs. 10 Marzo 2000 nr. 74 per omesso versamento iva pari a € 1.175.384,00.

Lo scorso 12 gennaio 2017 il Tribunale di Brindisi, nella persona della dott.ssa Almiento, ha emesso una sentenza che sicuramente costituirà un precedente in casi simili. Il ragguardevole importo dell’imposta non versata, infatti, non passerà inosservato.

Il Tribunale Pugliese di merito ha accolto la tesi difensiva dell’Avv. Leonardo Andriulo (in foto) – titolare dello studio legale ANP Legal (www.AnpLegal.Eu), sulla non imputabilità dell’imprenditore che si trovi in uno stato di difficoltà economica dettata dalla crisi del mercato. Il P.M. aveva chiesto, durante la requisitoria finale, la condanna ad un anno di reclusione.

Con grande soddisfazione e “giustizia” è arrivata l’assoluzione dell’imputato con formula piena perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 530 c.p.p..

La vicenda imprenditoriale.

Una nota marca del settore di abbigliamento per bambini con sede in provincia di Brindisi, nell’anno 2012 ometteva di versare, alla scadenza stabilita per legge (27 dicembre 2012) l’ingente somma di 1.175.384,00 euro a titolo di imposta relativa all’esercizio 2011.

Le ragioni di un debito così rilevante sono da ricercarsi in un fallito processo di espansione. Più nel dettaglio, la crisi del settore dell’abbigliamento portava alla chiusura di molti negozi affiliati in franchising. L’azienda si ritrovava così in default con gravi scompensi finanziari ed economici.

Prontamente veniva attivata dall’Amministratore Unico, sempre assistito dallo studio ANP Legal – Andriulo & Partners, la procedura di concordato preventivo con continuità aziendale. La società, ammessa alla procedura concorsuale minore, cercava di risolvere la crisi impegnandosi comunque a pagare in via privilegiata il 100% del debito Erariale.

Grazie al nuovo piano industriale i creditori (anche l’Agenzia delle Entrate per il tramite dell’agente della riscossione) votavano favorevolmente. Venivano così raggiunti i quorum previsti per legge (oltre il 60%).

La sorte avversa, però, si accaniva contro. La richiesta del maggiore fornitore ufficiale estero del pagamento, sia del sospeso che dei nuovi ordini, di fatto portava alla sospensione delle attività produttive/distributive. Conseguentemente la società, su istanza da parte dello stesso imprenditore, veniva dichiarata fallita. Ne seguiva l’insinuazione al passivo di molti creditori.

Il reato e le sue caratteristiche.

Il reato di mancato versamento Iva è di tipo omissivo a carattere istantaneo. Esso è previsto (in Italia) dal D. Lgs. 10 Marzo 2000, nr. 74 art. 10 ter e, si realizza, nel momento del NON versamento all’Erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dall’effettiva riscossione dei corrispettivi relativi alle prestazioni effettuate.

Il reato in esame richiede, pertanto, un dolo generico, essendo sufficiente ad integrarlo la coscienza e volontà di non versare all’Erario quanto dovuto. La prova che il PM deve fornire è semplice da raggiungere perché viene fornita dallo stesso imputato. Infatti, una volta presentata la dichiarazione annuale, il gioco è fatto.

Dalla stessa emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di punibilità (attualmente 250.000,00 euro), entro il termine previsto – ad oggi è fissato al 27 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento dell’imposta. Ad esempio Iva relativa all’anno 2011 dovrà essere versata entro e non oltre il 27 dicembre 2012. Diversamente il reato si consuma ed il rinvio a giudizio è pacifico. Tuttavia, pur in presenza della realizzazione del reato, affinché possa dirsi escluso l’elemento soggettivo, occorre, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità,

la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Cass. pen., Sez. III, 5 aprile 2014, n. 1541; Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2013, n. 5905).

La tesi difensiva.

Come sostenuto dall’Avvocato Leonardo Andriulo, del foro di Taranto, nel caso di specie, l’imputato ha sempre manifestato la sua strenua volontà nel voler onorare il dovuto all’Erario e ha cercato di farlo in tutti i modi. E’ questo uno dei principali elementi che è emerso durante il dibattimento.

Probabilmente anche quello decisivo che ha convinto il giudice ad emettere una sentenza di assoluzione. Sebbene il reato si sia effettivamente consumato, perché al momento della scadenza prevista per legge non è stato assolto il pagamento del dovuto, esistevano delle circostanze, che favorivano l’imprenditore ed hanno portato alla sua non punibilità sul piano penale.

Qual era lo scoglio da superare?

L’orientamento giurisprudenziale italiano nega l’idoneità della mancanza di liquidità ad esonerare il sostituto d’imposta dalla responsabilità penale. Tutto ciò si basa sulla considerazione di fondo che il soggetto passivo Iva ha comunque il preciso dovere, quando riceve il pagamento di una fattura, di accantonare quanto riscosso a titolo di imposta sul valore aggiunto. Somma che andrà dallo stesso riversata, o comunque dovrà essere gestita in modo da poter sempre adempiere all’obbligo tributario.

La prova a discarico!

Se genericamente le considerazioni fatte sembrano fondate, spesso la realtà imprenditoriale non consente di poter effettivamente accantonare dette somme. Anzi, talvolta impone il momentaneo utilizzo delle stesse per consentire il normale esercizio dell’attività di impresa.

Pertanto per il reato di mancato versamento IVA, se da un lato può accettarsi il principio secondo il quale la crisi economica e di liquidità non possa costituire di per sé esimente dal reato contestato, dall’altro non può negarsi che difficilmente sarà individuabile una qualche responsabilità in capo al soggetto attivo del reato, quanto meno sotto l’aspetto psicologico, allorquando tali difficoltà finanziarie non siano imputabili al contribuente che, anzi, si è adoperato attivamente ponendo in essere misure idonee a fronteggiarle senza tuttavia riuscirvi.
La Giurisprudenza di legittimità ha registrato, all’esito di detta situazione fattuale che spesso si verifica, significative aperture volte a riconoscere alla illiquidità finanziaria efficacia scriminante sulla rilevanza penale delle omissioni tributarie.

Da valutarsi sia la imprevedibilità/inevitabilità del verificarsi dell’inadempimento fiscale quale ragione di esclusione del profilo soggettivo del reato, sia ripiegando sull’esimente della forza maggiore intesa in termini di interruzione del nesso causale.

La decisione del Giudice.

Il Giudice Brindisino, aderendo alla tesi difensiva ed ad una giurisprudenza che sempre più si va consolidando nell’ordinamento, ha mandato assolto con formula piena l’imputato. Il Giudice ha  così motivato:

L’assenza del dolo.

“…se è vero, infatti, che per pacifica giurisprudenza di legittimità, le eventuali precarie condizioni economiche della società – almeno che le stesse non siano determinate da eventi eccezionali e di rilevante dimensione – non costituiscono di per sé considerate, un caso fortuito o di forza maggiore (art. 45 c.p.) come tale idonee ad escludere la punibilità o quantomeno il dolo del reato di cui all’art. 10 ter D. Lgs nr. 74 del 2000 è anche vero che, in tema di reati tributari, non può astrattamente escludersi che siano possibili casi nei quali possa invocarsi l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria per intervenuta crisi di liquidità, sempre che, però, vengano assolti gli oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica, ma anche la prova che tale crisi sono sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto, tra cui, non ultimo, il ricorso al credito bancario”.
Il Giudice di merito, attento conoscitore delle dinamiche fattuali e soggettive indica la soluzione alla questione confermando l’apertura in favore dell’imprenditore che sebbene in crisi, al fine di giovarsi dell’esimente deve dar prova della non fronteggiabilità della stessa.

La causa di forza maggiore.
Continuando nella lettura: “Come è noto, infatti, l’oggettiva impossibilità di adempiere può avere rilevanza solo se dovuta a causa di forza maggiore che, come noto, esclude la suitas della condotta e che viene tradizionalmente definita come la vis cui resisti non potest (tradotto la forza a cui non è possibile resistere). … E, dunque, poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, si da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcum modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, ne consegue nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso. Da ciò consegue che l’imputato che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, nei termini di cui si è detto, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni atte a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa e non consolidata crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili ”.

Le conclusioni.
La vicenda porta a riflettere in positivo. La Giustizia attentamente valuta caso per caso. Infatti, ogni qualvolta l’imprenditore si trovi in crisi per colpe a lui non imputabili, è doveroso e giusto mandarlo assolto. Così è accaduto nel caso qui in esame e si spera che molti altri trovino la giustizia richiesta in un momento di difficoltà per tutti i comparti commerciali.

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